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Economia lineare Riciclo Economia Circolare

L’Economia Circolare e i suoi 3 principi chiave

Che cos’ l’Economia Circolare? Dal termine stesso si può intuire qualcosa, ma per capirne appieno il significato cerchiamo di approfondire meglio cos’è e quali sono i principi che la contraddistinguono. Negli anni passati si è spesso parlato di teorie e modelli economici alternativi a quello del consumismo sfrenato e più inclini a trovare un maggior equilibrio tra uomo e natura attraverso uno sviluppo sostenibile. Da un punto di vista comunicativo non è certo stata di successo la teoria e la relativa campagna a favore della “Decrescita felice”, proprio perché porta con sé un accezione negativa, di rinuncia, che mal si sposa con la volontà di consumare e non avere limitazioni alla propria libertà di consumo. Gradualmente il tema dell’Economia Circolare (EC) è invece entrato nel dibattito politico, sociale ed economico, presentandosi sotto una luce diversa e meno restrittiva. Anche nel Recovery Plan preparato dal Governo Italiano a fine Aprile 2021, si cita l’Economia Circolare come uno degli elementi di rilievo del piano. Eppure spesso si fa riferimento al termine di Economia Circolare per descrivere qualcos’altro.  Cosa significa Economia Circolare? Il punto fondamentale è certamente quello del passaggio da un modello di Economia Lineare ad un modello di Economia Circolare. Nell’Economia Lineare tutti le materie prime e gli elementi della catena di produzione e consumo sono concepite come passaggi sequenziali, con un inizio ed una fine. E’ il modello che ha generato e continua a generare livelli di inquinamento ormai non più sostenibili per l’ambiente e per l’uomo. Nel modello Circolare ogni passaggio è funzionale a quello successivo, compreso quello di utilizzo e consumo, che non si chiude con lo smaltimento in discarica. Ogni prodotto o materia rientra a far parte del ciclo successivo e per questo è rappresentabile come un processo senza fine.  La definizione data dal Parlamento Europeo Il Parlamento Europeo definisce l’Economia Circolare (EC) come “a model of production and consumption, which involves sharing, leasing, reusing, repairing, refurbishing and recycling existing materials and products as long as possible. In this way, the life cycle of products is extended. (…) In practice, it implies reducing waste to a minimum“. L’Economia Circolare è definita come un modello di produzione e consumo, che prevede la condivisione, la locazione, il riutilizzo, la riparazione, la ristrutturazione e il riciclaggio di materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si allunga il ciclo di vita dei prodotti e si riducono al minimo gli sprechi.  Anche in questa definizione rimane qualcosa di insoluto rispetto alla produzione di scarti, di rifiuti residui, che viene illustrata come segue:  E’ sufficiente? E cosa ne sarà dei rifiuti residuali, cioè quelli che per qualche motivo non sono riciclabili? L’economia del riciclo è un’altra cosa L’immagine che segue aiuta a comprendere appieno il significato di Economia Circolare ed evitare di confonderla con l’Economia del Riciclo.  Secondo la Ellen MacArthur Foundation, fondazione la cui missione è proprio quella di accelerare la transizione verso un’Economia Circolare, tra i principi fondamentali dell’Economia Circolare c’è l’eliminazione totale di qualsiasi tipo di rifiuto. L’obiettivo quindi è di azzerare completamente la produzione di rifiuti, lo zero waste. I 3 principi chiave dell’Economia Circolare Sostenuto da una transizione verso le fonti energetiche rinnovabili, il modello circolare costruisce capitale economico, naturale e sociale e si basa su tre principi: Concepire i prodotti escludendo del tutto, fin dal momento della progettazione, la creazione di rifiuti e inquinamento, il rilascio di gas a effetto serra e di sostanze pericolose. Evitare quindi l’inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua, nonché “rifiuti strutturali” come il traffico congestionato. Mantenere il più possibile prodotti e materiali in uso nei cicli di utilizzo, cioè progettare avendo bene in mente la la durabilità, il riutilizzo, la rigenerazione e il riciclaggio, al fine di mantenere sempre in circolazione nell’economia prodotti, componenti e materiali. Rigenerare i sistemi naturali. Un’economia circolare evita l’uso di risorse non rinnovabili e preserva o migliora quelle rinnovabili, ad esempio restituendo preziose sostanze nutritive al suolo per supportare la rigenerazione o utilizzando energia rinnovabile invece di fare affidamento sui combustibili fossili. L’Economia Circolare si basa quindi su un modello economico resiliente, distribuito, diversificato e inclusivo ben diverso da quello che ha dominato gli ultimi decenni. Offre opportunità per una migliore crescita attraverso la costruzione di capitale economico, naturale e sociale. Il diagramma a farfalla Secondo la Ellen MacArthur Foundation l’essenza dell’EC è rappresentabile secondo il Butterfly diagram, letteralmente il “diagramma a farfalla”. Il diagramma cerca di descrivere il flusso di materiali, nutrienti, componenti e prodotti, senza dimenticare gli elementi di valore finanziario. Si basa su diverse scuole di pensiero, ma è forse maggiormente influenzato dai due cicli materiali definiti secondo l’approccio “Cradle to Cradle“, cioè dalla Culla alla Culla. Il nome stesso, che può suonare strano a prima vista, deriva dalla contrapposizione rispetto al concetto “Cradle to grave”, cioè Dalla culla alla tomba, o dall’inizio alla fine, che descrive lo sviluppo di un prodotto, un’attività o un processo produttivo durante il suo ciclo di vita, dal giorno in cui viene creato al momento in cui cessa di esistere.  Il Cradle to Cradle (C2C) è invece un approccio alla progettazione di prodotti e sistemi che modella l’industria umana sui processi della natura, dove i materiali sono visti come nutrienti che circolano in metabolismi sani e sicuri. Il modello C2C è sostenibile e rispettoso della vita e delle generazioni future – dalla nascita, o “culla”, di una generazione a quella della generazione successiva. La cosa più evidente nel diagramma è la separazione in due metà distinte, o cicli, che rappresentano due flussi di materiale fondamentalmente distinti: biologico e tecnico. I due flussi del diagramma a farfalla I materiali biologici – rappresentati in cicli verdi sul lato sinistro del diagramma – sono quei materiali che possono rientrare tranquillamente nel mondo naturale, una volta che hanno attraversato uno o più cicli di utilizzo, dove si biodegraderanno nel tempo, restituendo i nutrienti incorporati per l’ambiente. I materiali tecnici – rappresentati in blu a destra – non possono rientrare nell’ambiente. Questi materiali, come metalli, plastica e sostanze chimiche sintetiche, devono scorrere continuamente nel sistema in modo che il

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Siamo fatti (anche) di microplastica

La foto in apertura sembra rappresentare forme di vita sconosciute. In realtà le conosciamo molto bene, ci siamo a contatto tutti i giorni e sono una minaccia alla vita. Quella fotografata da Mandy Barker (Prix Pictet 2017) sono campioni di microplastica trovati in mare. Sono fotografati al microscopio come fossero piccole specie animali appena scoperte. Cos’è la microplastica? Per microplastica si intendono le particelle di materiale plastico, generalmente più piccole di 1 millimetro, che si infiltrano nell’ambiente e negli alimenti inquinando l’ecosistema e la salute umana. La microplastica non nasce micro, deriva invece da pezzi di plastica più grandi, che con il tempo, il meteo o l’usura si frammentano. Origina da tessuti sintetici, pneumatici, contenitori, vernici varie e quell’infinito numero di altri oggetti e materiali di cui siamo circondati. Microplastica nel nostro corpo Come fa notare Nicolas Lozito sulla sua newsletter “Il colore verde“, una recentissima ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Environment International ha evidenziato che ci sono tracce di microplastica nel nostro sangue. Su 22 campioni di sangue provenienti da donatori anonimi, ben 17 contenevano microplastica. Vale a dire 8 persone su 10 “positive” alla microplastica. Seppur buona parte dei “rifiuti” che ingeriamo sono normalmente smaltiti dal nostro organismo, parte di questi rimangono nel nostro corpo e finiscono per inquinare persino il nostro sangue. Secondo il WWF, noi ingeriamo in media circa 5 grammi di microplastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito. Sembra un’enormità e lo è! Segnali inequivocabili per un cambiamento immediato Il corpo umano, all’80% fatto d’acqua, somiglia sempre più alla bottiglia in PET che abbiamo sul tavolo da pranzo. Un ulteriore segnale dell’importanza di cambiare certi stili di vita, certe abitudini, i sistemi di consumo che con il tempo ci stanno trasformando nel vero senso della parola. Per questo diventa sempre più importante passare da un sistema economico basato su un modello Lineare ad uno basato sull’Economia Circolare, adottando una visione di lungo periodo che offra un’opportunità di crescita rispettosa delle necessità del pianeta.

Urban mobility a Leuven

Un esempio di mobilità urbana sostenibile e inclusiva

Per trasformare le città in ambienti più accoglienti e vivibili per tutti serve tempo, ma soprattutto una pianificazione attenta alla mobilità urbana sostenibile. Non ero mai stato a Leuven, una città delle Fiandre di 100.000 abitanti, per il 65% studenti universitari della rinomata KU Leuven, ma l’atmosfera e la capacità di rendere una città veramente sostenibile mi hanno piacevolmente colpito. Ci sono stato qualche giorno fa insieme ad ISINNOVA per parlare di Comunicazione a proposito del progetto Europeo Dignity.Quello che si nota fin da subito non è solo l’energia di una città con un’età media così bassa, ma soprattutto una concezione di città decisamente diversa dalla media: una mobilità sostenibile e alla portata di tutti, inclusiva. Bici e bus, o più semplicemente i piedi, sono i mezzi di trasporto prevalenti. Dalle cargo-bike alle micro bici, con il bus come principale alternativa. Le auto? Poche. E quando non vedi e non senti le auto attorno a te, lo spazio urbano diventa dei cittadini, dei commercianti, di chi sorseggia birra belga ai tavolini di piazze brulicanti di vita. Per chi, seppur adulto, non è mai salito in bici, spesso migranti che nelle terre di origine neanche si potevano permettere due ruote e un telaio, organizzazioni locali offrono corsi per tutte le età. E dopo alcune ore di prova insieme a volenterosi volontari, questi ciclisti novelli non solo hanno conquistato la libertà sui pedali, ma hanno pure imparato qualcosa in più sulla lingua e la cultura locali. Integrazione a pedali.Anche il free-floating selvaggio non è concesso: monopattini e bici che ormai imperversano sui marciapiedi di molte città, qui possono essere depositati solo nelle aree indicate dal comune.Quando arrivi in una città del genere, alla sensazione di piacere e scoperta segue sempre una domanda: ma perché quello che si è realizzato qui non può accadere altrove? Tutta un’altra idea di città rispetto a quella che ha in mente l’Arabia Saudita. Grandi cambiamenti hanno bisogno di una visione condivisa e lungimirante basata sul coinvolgimento di tutte le persone. Funzionari, politici, commercianti, associazioni, cosi come di semplici cittadini che capiscono cosa c’è in gioco. E’ quello che ha fatto negli anni l’amministrazione di Leuven con un po’ di coraggio e la forza della ragione.Partiamo dal loro esempio e da quello di una mamma che fa la spesa con la sua bici station wagon e da un figlio che la segue mettendocela tutta.E pedaliamo!

STOP WAR WORDING

No, questa non è una guerra

Parole di guerra. Nel mondo degli affari si fa spesso ricorso alla terminologia che proprio nella guerra trova la sua origine e la massima espressione. C’è chi concepisce lo scenario competitivo proprio come un campo di battaglia e non ne fa mistero. Un esempio lampante è il recente libro del fondatore della Nike, Phil Knight, intitolato “L’arte della vittoria”, che non proprio velatamente richiama quello ancora più famoso di Sun Tzu “L’arte della guerra”. Non solo nel titolo, ma proprio nella gestione dell’attività di business, nei termini usati per arringare i propri dipendenti o per concepire un piano d’azione. Siamo ormai assuefatti a termini come colpire il target, conquistare i consumatori, annientare i competitors, bombardare di messaggi.Eppure si potrebbero esprimere gli stessi concetti usando termini come comunicare con il proprio pubblico, dialogare con i clienti, acquisire quote di mercato. Usare le parole oculatamente Non è una questione esclusivamente semantica.E’ anche una forma di rispetto per chi si trova realmente in situazioni estreme come quelle che stiamo vedendo in questi giorni in Ucraina. Quelle sì di guerra, ma che in realtà esistono purtroppo da tempo in varie regioni del mondo: Mali, Siria, Yemen, Afghanistan, Kurdistan, Kashmir, striscia di Gaza e molte altre.Così come si potrebbe evitare di usare parole a sproposito come terremoto finanziario o tzunami economico. Se ne può fare decisamente a meno.Anche questo sarebbe un piccolo ma importante segnale per rendere più sostenibile il mondo che ci circonda e non solo quello degli affari e magari adottare un approccio orientato a salvaguardare il nostro futuro sul pianeta Terra.

glasses and green

Etica e valori: credi ancora in quello che fai?

Etica e valori personali non sempre coincidono con i valori aziendali. Ma è ormai evidente quanto sia prioritario che dipendenti e collaboratori siano soddisfatti e considerati tanto quanto gli azionisti. Nella propria esperienza lavorativa ci si trova spesso a chiedersi quanto sia bilanciato quel delicato equilibrio tra vita privata e vita professionale. Se la visione del mondo di un’azienda coincida con la propria, se gli obiettivi strategici e le logiche operative dettate dai mercati siano in linea con la propria idea di lavoro, di etica, di mondo. La Grande Dimissione Un problema messo a nudo dalla pandemia e da quella che viene definita La Grande Dimissione. Si parla di Yolo Economy: You only live once. Si vive una volta sola. Ora più di prima si cerca un senso in quello che si fa e soprattutto una migliore qualità di vita. Non bastano più i buoni propositi e i valori altisonanti esposti in bella mostra su un poster appeso sulle pareti di una sala riunioni.Tanto vale concentrare i propri sforzi, sacrifici lavorativi e di vita, verso qualcosa in cui si crede di più.  La sostenibilità è un concetto ormai spesso abusato, piegato da campagne di greenwashing.Eppure la capacità di andare oltre i soli interessi degli azionisti ormai non è più procrastinabile.  Una visione sostenibile Attrarre nuovi talenti, far sì che i propri dipendenti e collaboratori siano soddisfatti e considerati tanto quanto gli azionisti dovrebbe essere ormai una priorità.Gli stessi mercati finanziari pian piano se ne rendono conto. Non si possono trascurare clienti, partner, dipendenti, comunità, ambiente. Sposare una visione, questa sì sostenibile, di lungo periodo in senso economico, sociale, ambientale, è una necessità che genera anche profitti ed uno degli elementi fondamentali di una identità aziendale forte. Quando le Società Benefit, le BCorp, i GreatPlaceToWork non saranno più l’eccezione, ma la regola, quando ad una purpose aziendale seguiranno fatti concreti, allora sì, la transizione verso un futuro che faccia gli interessi di tutti sarà compiuta.Nel frattempo ognuno può mettere bene a fuoco le proprie priorità e decidere quale strada percorrere.

Less CO2

Marketing e sostenibilità, un binomio efficace

Fare marketing non significa solo puntare al massimo profitto, ma tenere conto anche dei principi di sostenibilità sociale ed ambientale. Il marketing e la generazione di profitto Il marketing viene spesso definito come il complesso dei metodi che partendo dall’analisi del mercato e dei bisogni dei consumatori attuali e potenziali, ha come obiettivo quello di collocare i prodotti in un dato mercato generando il massimo profitto. A questo scopo si scelgono e pianificano le politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di comunicazione. La cronaca spesso usa questo termine per descrivere delle pratiche piuttosto discutibili, dove le aziende compiono azioni finalizzate a vendere i propri prodotti e servizi senza farsi troppi scrupoli. Ne sono un evidente esempio il telemarketing aggressivo, dove a ignari consumatori vengono rifilati servizi non richiesti oppure pubblicità discutibili se non addirittura ingannevoli. Eppure al di là di alcuni cattivi esempi, la stessa logica che sta dietro al fare impresa sta necessariamente evolvendo verso una concezione più olistica, dove il bene comune è il fine ultimo dell’attività imprenditoriale. Risulta ormai superata quella visione unicamente orientata al profitto tipica di teorie economiche che hanno dominato per decenni la scena globale e sviluppate secondo un modello economico lineare. La sostenibilità come valore e obiettivo  Tutte le discipline economiche e le componenti e funzioni dell’impresa hanno introdotto ormai il termine sostenibilità come valore e obiettivo fondante alla base dell’azienda. Persino il nostro strumento giuridico (legge 28 dicembre 2015, n.208) ha introdotto la figura delle Società Benefit, cioè quelle società di capitali che hanno come obiettivo il conseguimento, in modo congiunto e integrato, di finalità di lucro e di beneficio sociale. In sostanza l’azienda si impegna a perseguire anche scopi di beneficio comune e generare un impatto positivo a lungo termine sulla società civile e sull’ambiente. Il ruolo del brand Se volgiamo l’attenzione verso le teorie di marketing ed in particolare al brand, cioè quell’elemento che dovrebbe rappresentare l’essenza dell’azienda e farsi portatore dei suoi valori, il padre del marketing moderno Philip Kotler, ha introdotto già da qualche anno il concetto di Brand Activism (“Brand Activism: From Purpose to Action” – Sarkar & Kotler, 2018. In Italia edito da Hoepli nel 2020 con il titolo “Brand Activism: dal Purpose all’Azione”). Secondo Kotler un brand può definirsi “attivo” quando rende chiaro, ai propri clienti il suo scopo e le sue visoni del futuro. Un marchio è attivo quando si sente libero di adottare una causa, di prendere posizione su un importante problema sociale. Il “Brand Activism” è in sintesi il manifesto di un’azienda che vuole assumersi una responsabilità sociale per far progredire il Bene Comune. Una visione più moderna Questa è la direzione che qualsiasi azienda moderna, con una visione di lungo periodo e contraddistinta da una leadership illuminata, deve prendere per poter non solo sopravvivere sul mercato, ma guadagnare posizioni di rilievo nel proprio mercato. Il mercato stesso, specie nei settori dove la domanda è molto sensibile ai temi ambientali e sociali, emette segnali inequivocabili che spingono per avere un’offerta che sposa i principi della sostenibilità. Il marketing, che è la funzione che deve interpretare il mercato e segnare la strada dello sviluppo di prodotti e servizi, non può ignorare questa tendenza irreversibile. Deve anzi farla diventare parte integrante della strategia aziendale. Marketing e sostenibilità devono andare a braccetto e guidare l’evoluzione delle aziende.

Patagonia-adv

Brand activism – Cos’è e chi lo mette in pratica

Il brand activism tra teoria e pratica. Cosa significa e quali sono gli esempi concreti che hanno fatto scuola e quelli più recenti di aziende anche italiane. Cos’è il Brand Activism Nel 2018 Philip Kotler e Christian Sarkar  hanno coniato per la prima volta l’espressione “Brand Activism” nel loro libro “Brand Activism. From purpose to action”, in cui i due guru del marketing esplorano il concetto di responsabilità sociale dell’azienda. Un brand può definirsi “attivo” quando rende chiaro, ai propri clienti il suo scopo e le sue visoni del futuro. Un marchio è attivo quando si sente libero di adottare una causa, di prendere posizione su un importante problema sociale. Il Brand Activism è in sintesi il manifesto di un’azienda che vuole assumersi una responsabilità sociale per far progredire il Bene Comune, provocare un impatto positivo sugli altri e sull’ambiente, andando quindi oltre la mera logica del guadagno. Il Brand Activism è anche il risultato del fallimento dei governi nell’affrontare i problemi più urgenti del mondo. Va a riempire un vuoto lasciato da chi dovrebbe prendersi cura del Bene Comune e cerca di farsi interprete di quel bisogno molto forte in qualsiasi comunità. Le numerose battaglie di questi anni per la sostenibilità ambientale, la riduzione di emissioni inquinanti e la Social Justice sono esempi lampanti e rappresentano i temi più rilevanti dell’agenda politica e sociale a livello globale. Esempi di Brand Activism A ben guardare se volessimo andare indietro nel tempo, già solo in Italia troveremmo esempi lampanti di questo impegno in Adriano Olivetti e la sua famosa azienda di macchine da scrivere, concepita per raggiungere un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, con grande attenzione ai propri dipendenti, alle loro famiglie e alla comunità di riferimento della fabbrica. E’ un concetto strettamente correlato alla Vision che si dà l’azienda e alla Purpose che mette al centro della propria attività d’impresa: Business with a Purpose. Patagonia Tra le aziende pioniere in questo senso c’è sicuramente Patagonia, che fa scuola ormai da anni nel dimostrare il suo impegno costante nella politica attiva a favore dell’ambiente e della giustizia sociale. Fece scalpore, ormai nel lontano 2011, la pagina pubblicitaria che l’azienda pubblicò sul New York Times in occasione del Black Friday dove Patagonia invitava espressamente i lettori a non comprare la giacca sportiva in oggetto. Su questa pagina era presente un titolo a caratteri cubitali con scritto “Don’t buy this Jacket”, una foto di una giacca grigia da outdoor e in fondo una lista dei costi ambientali ed ecologici che comporta la produzione di un singolo capo. Nella Mission di Patagonia leggiamo: Noi di Patagonia sappiamo perfettamente che tutte le forme di vita sulla Terra rischiano l’estinzione. Vogliamo utilizzare tutte le risorse in nostro possesso – il nostro business, i nostri investimenti, la nostra voce e la nostra immaginazione – per far sì che ciò non accada. Si tratta poi di tradurre in pratica lo statement e sviluppare una forte identità di brand riconosciuta dal mercato. Non è solo mettere in pratica qualche iniziativa per soddisfare le esigenze di Corporate Social Responsability, ma farne proprio un elemento fondante dell’attività d’impresa, riconosciuta e riconoscibile dal pubblico e dai consumatori. Patagonia in sostanza non vende prodotti, ma idee più grandi, legate all’avventura, all’esplorazione, al benessere, alla tutela. Come suggerisce Paolo Iabichino (direttore creativo e tra i fondatori dell’Osservatorio Civic Brands) è un tipo di marketing che segue una narrazione sincera e appassionata, che elimina menzogne e ipernarrazioni. Molte aziende hanno preso spunto da Patagonia per proporre iniziative e campagne simili. Cortilia Cortilia, che nel corso degli anni partendo da Milano si è pian piano allargata ad altre città in Italia offrendo un servizio di e-commerce di prodotti naturali mettendo in rete produttori locali, ha recentemente pubblicato una campagna che ricorda molto proprio l’esempio di Patagonia. Banca Etica Nata nel 1999 con obiettivi ben chiari proprio in linea con i principi enunciati anche dal band activism, Banca Etica si impegna a finanziare esclusivamente imprese che operano per l’interesse collettivo: dalla cooperazione sociale, alla cooperazione internazionale, dalla tutela dell’ambiente alla promozione della cultura, dalle energie rinnovabili all’agricoltura biologica. Un segno distintivo che la fa certamente emergere nel panorama della banche ed istituto di credito italiani. Altromercato In ambito retail, tra le aziende più attive troviamo Altromercato, presente ormai da tempo in molte città italiane. Il payoff di Altromercato indica già la strada: “Scegli da che parte stare”. Il suo tratto distintivo è quello di offrire al consumatore prodotti che provengono da artigiani e contadini che localizzati in vari parti del mondo, ma sempre garantendo il rispetto del lavoro equamente retribuito, basato su una filiera trasparente e tracciabile. Un’offerta che tutela quindi consumatori, produttori e l’ambiente, garantendo allo stesso tempo la qualità dei prodotti. Una delle sue ultime campagne si focalizza sul caffè, un prodotto spesso problematico in termini di equità sociale e corretta retribuzione dei produttori. Il messaggio, di grande impatto, è “Consumi o scegli?”. Nel video si riportano le testimonianze dei contadini e lavoratori delle cooperative del Nicaragua che lavorano giornalmente per offrire un prodotto di ottima qualità ottenendo in cambio una retribuzione equa.

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Identità aziendale: 3 concetti chiave

Per costruire un’identità aziendale e un brand forte bisogna avere le idee chiare su alcuni aspetti chiave.Come definire la propria Vision, la Mission e identificare i propri Valori fondamentali?Scopriamolo insieme. I 3 concetti chiave  La vision, la mission e la purpose, cioè i valori aziendali, definiscono chiaramente la direzione che l’azienda vuole intraprendere. Aiutano a definire la cultura aziendale, a riflettere su cosa, come e perché l’azienda esiste. Cos’è la Vision? Avere una Vision significa definire dove l’azienda vuole arrivare e cosa vuole diventare. Chi e cosa si vuole cambiare? La Vision indica come sarà il mondo che ci immaginiamo, a cosa aspira l’azienda. Le domande chiave a cui rispondere per poter definire la vision potrebbero essere: Quali sono le nostre aspirazioni principali?  Quale soluzione vogliamo proporre al problema che ci sta più a cuore? Quale cambiamento stiamo cercando di provocare? Mentre la vision rappresenta una vista sul futuro, la mission si concentra sull’oggi e su cosa si fa ora per raggiungere la visione. Cosa si intende per Purpose La Purpose spiega la ragione di esistenza dell’azienda, perché è stata creata, qual è il fine ultimo dell’azienda e su quali valori questa si fonda. I valori definiscono ciò in cui crede l’organizzazione e il modo in cui ci si aspetta che le persone all’interno dell’organizzazione si comportino con tutti gli stakeholder, quindi non solo i colleghi, ma anche i clienti, i fornitori e partner. La domanda chiave a cui rispondere è quindi: Quali sono i nostri valori? Affinché una dichiarazione di valori sia efficace, deve essere adottata sempre da tutti, a tutti i livelli dell’organizzazione, in modo da essere d’esempio per tutte le persone che ne fanno parte.  Gli stessi valori devono essere alla base dei rapporti con chi è fuori l’azienda, cioè i clienti, i fornitori, i partner. Solo in questo modo si potrà difende e far crescere la reputazione dell’azienda, con chiari riflessi sul proprio brand. Un esempio concreto: LEGO LEGO, l’azienda danese produttrice di giocattoli famosa per la sua linea di mattoncini assemblabili e molto altro ancora, ha già nel nome una dichiarazione molto forte. Il nome LEGO deriva infatti dall’unione delle parole danesi “leg godt” che significa “gioca bene”. Perciò la l’identità aziendale e il brand LEGO non potevano che riflettere questa prima dichiarazione d’intenti.  Vediamo i 3 elementi chiave Vision, Mission e Purpose in questo caso concreto. Vision Una forza globale per favorire l’apprendimento attraverso il gioco. Mission  Ispirare i costruttori di domani. Purpose I valori su cui si basa l’azienda: Immaginazione Divertimento Creatività Prendersi cura degli altri Apprendimento Qualità Sul proprio sito web questi elementi sono ben evidenziati, tanto da dichiarare molto esplicitamente qual è il loro brand framework: Se hai ancora dubbi su come definire un’identità aziendale capace di sostenere un brand forte, puoi sempre contattarmi.

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